Il segno della croce
Lo so, è il gesto più maltrattato: fatto velocemente, senza attenzione, disegna un movimento disarticolato e senza una traiettoria; a volte sembra terminare con un bacio alle dita… Sì, il più delle volte è un gesto vergognoso, perché sembra fatto con vergogna e fa vergognare chi lo comprende e ha consapevolezza di ciò che può significare. Eppure, è il gesto del cristiano, il gesto che confessa il nostro Dio quale comunità d’amore, Padre-Figlio-Spirito santo, Amante-Amato-Amore, e traccia sul corpo di chi lo compie la croce che è “il segno del Figlio dell’uomo” (Mt 24,30) veniente nella gloria. Per questo introduce ogni liturgia della chiesa, attestando che ciò che in essa è compiuto è dovuto soltanto al Dio vivente, raccontato dal Figlio Gesù Cristo (cf. Gv 1,18) attraverso il mistero della croce e della resurrezione.
Nel suo libro su I santi segni del 1922 Romano Guardini ha dedicato un intero capitolo a questo gesto. Egli scriveva, tra l’altro:
Quando fai il
segno di croce, fallo bene. Non così affrettato, rattrappito, tale che nessuno
capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cioè lento,
ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all’altra. Senti come esso ti
abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i
pensieri e tutto l’animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da
una spalla all’altra (I
santi segni, Morcelliana, Brescia 1960, p. 23).
Così il nostro
corpo è attraversato dalla croce che vi è impressa nell’unità di intelletto (la
fronte), cuore (il petto), agire (le braccia), e l’“amen” finale dice il “sì” a
questa sphraghís (sigillo), segno impresso dalla potenza della croce
nella debolezza della carne. Questo segno è riconoscimento della “dignità del
cristiano” (cf. Leone Magno, Sermo de nativitate Domini I,3; PL 54,192),
atto di fede viva, gesto che trasforma la croce da patibolo e strumento di
esecuzione in gloria del donare la vita per gli altri.
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