lunedì 24 luglio 2023

San Simeone, eremita e pellegrino armeno

 

San Simeone, abbazia di San Benedetto Po


San Simeone, eremita e pellegrino armeno 

Memoria della sua morte 26 luglio 1016

Nel monastero della Santa Croce di Campese è raffigurato nella cosiddetta pala dei fondatori e in un tondo, a fresco nella fascia decorativa del 1495, lato est.

Vita di san Simeone

Simeone, eremita e pellegrino armeno, giunse a Polirone [abbazia di San Benedetto Po] sul finire della sua vita, probabilmente tra il 1012 e il 1014, a pochi anni dalla fondazione del monastero, avvenuta per opera di Tedaldo di Canossa nel 1007. Di ritorno dal pellegrinaggio che dall'Armenia lo aveva portato sui luoghi più santi della cristianità, prima a Gerusalemme, poi a Roma, quindi a Santiago di Compostela e a Tours, Simeone fu accolto dai monaci in una piccola cella appena fuori del perimetro del cenobio. La "Vita", scritta pochi anni dopo la morte avvenuta il 26 luglio 1016, riporta alcuni tratti significativi del santo: la fede e la ricerca di Dio, l'umiltà e lo spirito di servizio, le guarigioni miracolose a favore della povera gente, la saggezza e il consiglio. Tali caratteristiche lo fecero apprezzare anche dal potente Bonifacio di Canossa, che, alla morte, presentò a papa Benedetto VIII la richiesta di canonizzazione dell'umile pellegrino. Nella ricostruzione della vicenda terrena del santo, esemplare è l'episodio del cervo, che per questo è parte essenziale della sua iconografia ed è inserito anche nel logo del monastero. Nel periodo di vita eremitica, a causa di una forte nevicata, Simeone con pochi compagni stava morendo di fame, quando davanti alla capanna apparve un bellissimo cervo. Tutti furono turbati, non sapendo se riconoscere nell'animale un dono di Dio o una tentazione del diavolo. Fu il santo ad interpretare la presenza del cervo come dono provvidenziale di Dio e a convincere i compagni a cibarsene. Ma l'aneddoto, sulla traccia del salmo 41: "Come la cerva anela ai corsi delle acque, così la mia anima anela a te, o Dio", ben si adatta ad illuminare anche la spiritualità del pellegrino. Innalzando agli altari Simeone, il papa accordò a Bonifacio il permesso di edificare una chiesa sulla tomba del santo, che cominciò a richiamare fedeli, favorendone il culto e dando lustro al monastero. Il corpo di Simeone, ricomposto da padre Agostino Gemelli e rivestito dell'abito benedettino donato dall'abbazia francese di Solesmes , è ancora oggi custodito in basilica nella prima cappella di sinistra. Nel 2016, a distanza di mille anni dalla morte, la parrocchia ha celebrato l'evento con varie iniziative.

(AA.VV., Un tesoro di affreschi sulla via del Brennero, 2015).

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venerdì 14 luglio 2023

Il ministero dell'ospitalità




 Diaconi, rabdomanti e visitors

Il «ministero dell'ospitalità» e dell'accoglienza permette di realizzare la chiesa in uscita, nella logica della missione. Il teologo ceco Tomáš Halík constata la difficoltà della chiesa di dialogare con gli Zacchei dei nostri tempi, con quanti sono desiderosi di vedere e allo stesso tempo vogliono rimanere distaccati e liberi. In questo ambito si potrebbe valorizzare maggiormente il diaconato, pensato proprio come ministero della soglia tra la vita interna ed esterna dei recinti ecclesiali. Theobald suggerisce due ministeri nuovi, in grado di tradurre concretamente l'apertura ospitale e la conversione  missionaria della chiesa: quello del «rabdomante» e quello del «visitatore». Il primo è colui che dialoga con quanti sono sulla soglia o all'esterno (non frequentano o si sono allontanati dalla chiesa), ma hanno una domanda spirituale, sono cercatori di senso. Il secondo è colui che esce dai recinti ecclesiali e incontra l'umanità nei luoghi di vita, visita le nuove famiglie insediate in un territorio, dialoga con le istituzioni pubbliche, come scuole, ospedali, case di riposo.


A. Toniolo - A. Steccanella, Le parrocchie del futuro. Nuove presenze di Chiesa.

martedì 11 luglio 2023

11 luglio SAN BENEDETTO DA NORCIA, ABATE E PATRONO D’Europa ((480-597)

 11 luglio SAN BENEDETTO DA NORCIA, ABATE E PATRONO D’Europa (480-597)



È il patriarca del monachesimo occidentale. Dopo un periodo di solitudine presso il sacro Speco di Subiaco, passò alla forma cenobitica prima a Subiaco, poi a Montecassino. La sua Regola, che riassume la tradizione monastica orientale adattandola con saggezza e discrezione al mondo latino, apre una via nuova alla civiltà europea dopo il declino di quella romana. In questa scuola di servizio del Signore hanno un ruolo determinante la lettura meditata della parola di Dio e la lode liturgica, alternata con i ritmi del lavoro in un clima intenso di carità fraterna e di servizio reciproco. Nel solco di San Benedetto sorsero nel continente europeo e nelle isole centri di preghiera, di cultura, di promozione umana, di ospitalità per i poveri e i pellegrini. Due secoli dopo la sua morte, saranno più di mille i monasteri guidati dalla sua Regola. Paolo VI lo proclamò patrono d'Europa (24 ottobre 1964)
«Ausculta o fili praecepta magistri»
(San Benedetto, Regola)

I monasteri. Presidi di resistenza alla dissoluzione.

 

I monasteri. Presidi di resistenza alla dissoluzione

Che uomini erano quelli. Riuscirono a salvare l'Europa con la sola forza della fede. Con l'efficacia di una formula: ora et labora. Lo fecero nel momento peggiore, negli anni di violenza e anarchia che seguirono la caduta dell’Impero Romano, quando le invasioni erano una cosa seria, non una migrazione di diseredati. Ondate violente, spietate, pagane. Li cristianizzarono e li resero europei con la sola forza dell'esempio. Salvarono una cultura millenaria, rimisero in ordine un territorio devastato e in preda all'abbandono. Costruirono, con i monasteri, dei formidabili presidi di resistenza alla dissoluzione. Sono i discepoli di Benedetto da Norcia, il santo protettore d'Europa.

Paolo Rumiz li ha cercati nelle abbazie, dall'Atlantico fino alle sponde del Danubio. Luoghi più forti delle invasioni e delle guerre. Gli uomini che le abitano vivono secondo una Regola più che mai valida oggi, in un momento in cui i seminatori di zizzania cercano di fare a pezzi l'utopia dei padri: quelle nere tonache ci dicono che l'Europa è, prima di tutto, uno spazio millenario di migrazioni. Una terra "lavorata", dove a differenza dell'Asia o dell'Africa - è quasi impossibile distinguere fra l'opera della natura e quella dell'uomo. Una terra benedetta che sarebbe insensato blindare. E da dove se non dall'Appennino, un mondo duro, abituato da millenni a risorgere dopo ogni terremoto, poteva venire questa portentosa spinta alla ricostruzione dell'Europa? Quanto c'è ancora di autenticamente cristiano in un Occidente travolto dal materialismo? Sapremo risollevarci senza bisogno di altre guerre e catastrofi? All'urgenza di questi interrogativi Rumiz cerca una risposta nei luoghi e tra le persone che continuano a tenere il filo dei valori perduti, in un viaggio che è prima di tutto una navigazione interiore.

Paolo Rumiz, Il filo infinito, Feltrinelli 2019.



Carcere: qualche numero al 31 marzo 2024

  “Vieni qui, frate lupo” Qualche numero al 31 marzo 2024 Elaborazione da Fonte: Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - Uff...