17 gennaio sant'Antonio Abate
UNA ZAPPA, UNA SCURE E UN PO’ DI FRUMENTO
Come ci testimonia la vita di Antonio del Deserto che visse più che centenario in Egitto dal 251 al 356, e che noi conosciamo come sant’Antonio abate, la vita del monaco che ha fatto la scelta del deserto come luogo dell’incontro con se stesso, con il silenzio, con Dio e con il Demonio… non è fatta soltanto di solitudine, di silenzio, di preghiera e di lotta con i demoni. È fatta anche di lavoro. Non tutti sanno, forse, che la birra, è proprio una invenzione dell’ora et labora dei monaci.
Dall'Egitto dell'Abate Antonio vengono anche i lieviti per la produzione della birra. Nel 10607 la Badessa Ildegarda di Bingen Scriveva:
«Se qualcuno intende fare della birra con l'avena, viene preparata con il luppolo.»
Ad esempio, i monaci benedettini di Norcia producono dell’ottima birra in buona parte esportata.
Il santo Abate Antonio del deserto aveva i calli alle mani… perché usava la zappa per dissodare il terreno e poi seminarlo. Ma anche la scure per togliere i rovi. Il monaco vive del proprio lavoro, conosce i tempi della semina e del raccolto, sa misurare il tempo della preghiera con quello del lavoro. Non si fa mantenere. Coltiva un orto. Non usa il diserbante e alle bestie selvatiche che gli danneggiano l’orto… lui parla così: «Perché mi fate del male mentre io non ve ne faccio? Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto».
Vi invito a leggere questo racconto che si trova nella vita di Sant’Antonio Abate scritta da sant’Atanasio.
[Antonio si ritirò nel deserto interiore]. Poi, quando i fratelli vennero a conoscenza del luogo, come figli che si ricordano del padre, provvidero a mandargli dei viveri; 5. ma Antonio, vedendo che alcuni dovevano affrontare fatiche e disagi per procurargli il pane, volle risparmiare anche questa fatica ai monaci. Rifletté e chiese ad alcuni di quelli che venivano a trovarlo di portargli una zappa, una scure e un po’ di frumento. 6. Quando gli portarono queste cose, esplorò i dintorni della montagna e, trovato un piccolo campo adatto alla coltivazione, cominciò a lavorarlo e, dato che il fiume gli forniva acqua in abbondanza per irrigarlo, cominciò a seminare.
Così fece ogni anno e in questo modo si procurò il pane, ben contento di non infastidire nessuno e di non essere di peso agli altri in nulla. 7. In seguito, vedendo che altri ancora venivano da lui, si mise a coltivare anche alcuni ortaggi perché chi veniva a trovarlo ricevesse qualche conforto dopo la fatica di quel difficile cammino. 8. All’inizio le bestie del deserto, che venivano per l’acqua, danneggiavano spesso le sue sementi e le sue colture, 9. ma Antonio prese dolcemente una di queste bestie e a tutte disse: «Perché mi fate del male mentre io non ve ne faccio? Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto». E da quel momento, come spaventate dal suo ordine, non si avvicinarono più.
(Vita di Antonio di Atanasio di Alessandria)
Il maiale di sant'Antonio: il padre del monachesimo "ridotto" a patrono dei maiali e delle stalle. Perché questo slittamento semantico?
Il porcellino che nelle immagini sacre grufola ai piedi del Santo anacoreta, vissuto tra III e IV secolo d. C. in Egitto, rappresenta il diavolo che, secondo la tradizione, avrebbe tentato più volte l’eremita ritiratosi in meditazione nel deserto d'Egitto. Nella simbologia antica il porco per la Chiesa incarna molti degli aspetti più bassi dell’anima umana, come l’ingordigia, la lussuria e la sporcizia, le tentazioni del maligno in generale. Da ricordare che le legione di demoni di cui di cui era posseduto in indemoniato, una volta scacciata dalla forza di Gesù, andò a possedere proprio in una mandria di porci (cfr Vangelo di Marco 5,1-20).
Nell’iconografia Sant’Antonio Abate è raffigurato con un maialino ormai ammansito - al guinzaglio - ai piedi, a simboleggiare la vittoria dell’eremita contro le tentazioni. Nei secoli, però, l’importanza del maiale nella cultura contadina ha progressivamente fatto slittare questo significato teologico: Sant'Antonio d'Egitto padre del monachesimo è diventato il protettore delle stalle. Avere gli animali della stalla - soprattutto il maiale - in buona salute era garanzia di prosperità e futuro.
Perché la memoria proprio il 17 gennaio? Forse perché questo periodo, particolarmente freddo, è più adatto alla lavorazione della carni del maiale (insaccati, conservazione) e anche perché è il tempo di carnevale: tempo di frittelle e anche il tempo in cui in passato le famiglie - proprio in occasione della macellazione del maiale - facevano festa con tavole imbandite con carne di porco.
A tal punto il maialino di Sant’Antonio era considerato una presenza benefica che, a partire dall’XI secolo, i monaci della congregazione religiosa degli “Antoniani” iniziarono a curare i malati del cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio” (Herpes Zoster) con unguenti preparati con il grasso dei maiali che allevavano nei loro monasteri. Maiali che, dotati di un collare con campanellino, potevano anche uscire dai conventi e scorrazzare liberamente nei centri abitati perché erano ritenuti amici della comunità (si nutrivano degli scarti alimentari buttati per strada), e non un disturbo.
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