martedì 21 febbraio 2023

La lingua per una liturgia viva: il latino?

 




La lingua per una liturgia viva: il latino?

Gesù parlava in aramaico, la lingua del suo tempo, grazie alla quale si faceva ascoltare dalla gente in modo semplice e diretto e, a sua volta, l'aramaico era la lingua con la quale la gente si rivolgeva a lui.  Gesù non solo non ha parlato una lingua sacra, ma utilizzava il vocabolario e le immagini della vita quotidiana (domestica, agraria o professionale) molto di più del vocabolario religioso.  Parlava di Dio con profondità e spessore ma in modo semplice, diretto ed efficace, al punto che l'evangelista Matteo annota che "le folle erano stupide del suo insegnamento: egli, infatti, insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi” (Mt 7,28-29), e nel quarto vangelo le guardie riferiscono ai sacerdoti e ai farisei: «Mai un uomo ha parlato così! (Gv 7,46). Ciò che colpiva non era solo quello che Gesù diceva ma come lo diceva.

La riforma liturgica del Vaticano II ha riportato nella liturgia la lingua viva, e questo è uno di quegli elementi ormai irrinunciabili, che hanno fatto dire a papa Francesco che "la riforma liturgica è irreversibile". Tuttavia oggi, a più di mezzo secolo di distanza, le condizioni culturali e il livello medio di conoscenza delle verità di fede cristiana degli uomini e delle donne che compongono le nostre assemblee liturgiche, le trasformazioni e a ben guardare anche l'impoverimento del linguaggio e del vocabolario comune della fede, ci spingono o forse ci impongono di essere particolarmente vigili non solo sul linguaggio e il vocabolario, ma anche sulle immagini e sulle figure che le nostre liturgie utilizzano.  Vigilanti nel senso di non dare mai per scontato che esse parlino sempre e comunque alla nostra gente. 

G. Boselli, Il senso umano della liturgia, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose, pp. 14-15.


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